PRINCIPALI MOSTRE
Solo Exhibitions
2019
• KINTSUKUROI (Installazione). Sentiero tra arte e natura - Rittana CN
2013
• PRÒSOPON Dentro il ritratto. Chiesa di Santa Maria del Monastero - Manta CN
2012
• FEMINA. Associazione Il Fondaco - Bra CN
2010
• Io guardo la mia vita di prima e a quella di adesso. Circolo Interno 2, Saluzzo CN
2009
• VESTIGI. Biblioteca Civica, Cavour TO
Group Exhibitions
2022
• RIFLESSIONI. La Castiglia - Saluzzo CN
2021
• UNDICI. En Plein Air Arte Contemporanea - Torino
• WUNDERKAMMER. Villa Biener Arte Contemporanea - Cipressa IM
2020
• Monumento al Generale Dalla Chiesa - Saluzzo CN
2019
• Con Lo Sguardo Di Icaro. Palazzo Samone - Cuneo
• UNTITLED. Palazzo Samone - Cuneo
• CAMMINI. Antico Palazzo dei Vescovi - Saluzzo CN
2018
• Etica Ed Estetica. Chiesa di Santa Maria del Monastero – Manta CN
2017
• Comprensioni Incomprensioni. Palazzo Samone - Cuneo
• Pensieri di Pietra. San Damiano Macra CN
2014
• (IM)MATERIALI. Complesso Monumentale di San Francesco - Cuneo
• 10 Artiste Sulla Via Del Sale. Associazione Il Fondaco – Bra CN
• 8 Sguardi Al Femminile. Associazione Il Fondaco – Bra CN
• Non sono Grigie le Pietre, Artisti per il Nepal. Antico palazzo comunale – Saluzzo CN
• Pensieri di Pietra. San Damiano Macra CN
2013
• (IM)MATERIALI. Palazzo Samone - Cuneo
• "ARTEOTTO 2013". Chiesa di Santa Teresa - Cavallermaggiore CN
• Artisti Contemporanei per un Progetto Sociale. Complesso Monumentale di San Francesco - Cuneo
• “Alfabeto Morso”, EN PLEI AIR Artecontemporanea - Pinerolo TO
2012
• PROFILE. EN PLEI AIR Artecontemporanea - Pinerolo TO
2011
• Le identità rivelate... Museo del mobile dell’Alta Valle Varaita - Pontechianale CN
BIBLIOGRAFIA
2019
2018
2017
2014
2013
2012
2010
2009
2007
LIBRI D'ARTE
MONoGRAFIE
Giovanni Tesio
“Arcani della memoria e del sogno"
catalogo per la mostra Femina.
Edizioni Il Fondaco - Bra
ARCANI DELLA MEMORIA E DEL SOGNO
Maschere funebri o maschere oniriche? La voce di Amleto non è forse: “Morire, dormire, forse sognare”?
Se l’interpretazione ha dei limiti, il dilemma è compatibile con l’ambiguità che genera. Così possiamo pensare al sonno come a un simulacro di morte e al sogno come alla memoria del rimosso, al luogo di ogni contraddizione, al deposito di ogni ossimoro, alla radice di ogni pulsione (arca e sorgiva di ogni storia e di ogni figura).
Nel mondo di Alessia Clema la maschera fissa l’esistenza in una forma che l’ossifica e cristallizza, ma nel comune destino che lega le trentasette teste della sua scena, ogni maschera trattiene un’individualità, una storia (o persino la rinuncia ad averne una): se è vero che nella superficie sta la profondità, e che le dormienti maschere, vivendo dentro i loro sogni – in ragione anche del materiale in cui la “fissazione” avviene – testimoniano di altrettante vite, della cui traccia l’artista va in cerca. Adottando un verso di Maria Luisa Spaziani, si potrebbe dire che Alessia “sciorina i suoi tesori a portata di memoria”.
Ecco dunque che mentre il gesso opacizza, la resina (epossidica) fa trasparire, creando una permeabilità, in cui trovano dimora gli oggetti-emblemi – appunto – della memoria (la memoria come principio di conoscenza) e del cuore (il cuore come esercizio di passione): anch’essi silenziosi ma abitati da una specie di simbolico bric-à-brac (un piccolo atto di museificazione o di imbalsamazione, che tuttavia genera un commovente e a volte stridulo concerto di allusioni).
Ogni tentativo di cattura è illusorio, si sa, ma è anche istruttivo, e in un certo senso necessario, poiché l’arte non è che questo: cogliere il midollo della vita, pronunciare l’inesprimibile, accoglierne i sottintesi. Dirò troppo se sottolineo che la spinta non viene solo dalla ferita, ma da quella ferita che chiamiamo nostalgia?
A me sembra che nell’installazione di Alessia accada un po’ ciò che accade con il mondo delle parole. Come la parola che blocca la cosa, ma che poi trova nella sua sintassi e nel suo ritmo una sorta di danza, qui la danza procede da quell’andare dall’alto al basso e dal basso all’alto: una danza muta (ma non macabra), un silenzio musicante (o una musica distante) che viene dai volti strappati alla loro faccia e disposti lì – in bilico – ad abitare la soglia: chiusi gli occhi come un coperchio, sigillate le labbra come un sipario, ma poi un’aria ironica, che esprime le ridenti (e magari anche irridenti) ragioni del segreto.
Tra i tanti oggetti rituali (piccole note e spartiti musicali, fiori ed erbe, orologi e fotografie, pifferi e gingilli nautici, pierrots lunaires e fiori, congegni a molla e dischetti telematici, matite e chiodi) l’oggetto forse più sintomatico è un motto: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”. Dal De contemptu mundi di Bernardo Cluniacense a Umberto Eco. Che sia Roma o che sia rosa, tutto finisce nella nudità del nome, così come ogni volto confluisce nella trasparenza di una maschera che ne rivela l’unica e ultima sostanza (un ubi sunt voltato in un ubi sumus).
Dopodiché il resto non è che una cornice: un’intonata cornice che sta lì come un’autobiografia per frammenti: mai una figura intera ma le linee ogni volta spezzate e intrise di malinconia. Nel gioco del bianco e del nero qualche colore tenue che rompe una fissità d’ambra. Per dire la vita fossile che viviamo, la patria che ci attende, la cattura del fuggente che – sempre – spetta all’arte di tentare.
Giovanni Tesio
Roberto Baravalle
“Attorno alle maschere di Alessia"
catalogo per la mostra Pròsopon, dentro il ritratto.
Ex chiesa di Santa Maria del Monastero, Manta,
Edizioni Il Fondaco - Bra
ATTORNO ALLE MASCHERE DI ALESSIA
Jan Van Eyck, dipingendo nel 1434 I coniugi Arnolfini, fu, probabilmente, tra i primi grandi pittori a portare dentro un ritratto, dentro il quadro, alcuni oggetti semplici, di uso comune (uno specchio convesso, una scopetta, due paia di zoccoli, delle arance e finanche il cagnolino dei protagonisti) con un funzione connotativa del carattere degli stessi e della situazione nella quale si trovavano. Gli oggetti avevano una funzione essenziale, non accessoria, anche se Panofsky sosteneva che, nel caso dell'opera ora alla National Gallery di Londra, si trattasse, di un ritratto più descrittivo che interpretativo che, alla fine, si è “ad un tempo tentati e scoraggiati di esplorare”.
Stimolano invece l'interpretazione questi (io li chiamerei così) “ritratti” realizzati da Alessia Clema con il ricorso a una campionatura del bric-à-brac che accompagna e simboleggia l'esistenza moderna della quale si vuole dare conto (a posteriori o in presa diretta? Questo è già un bel punto di discussione). Il fatto è che Alessia inserisce gli “oggetti testimoniali” in una maschera di resina epossidica (si presume un calco del volto della persona da ritrarre) secondo una procedura che risale all'antichità, certamente, ma che vide anche una propria continuativa e frenetica fortuna in epoche più recenti (diciottesimo e diciannovesimo secolo) quando non v'era personaggio notevole attorno al cui letto di morte non si affannassero pietosi seguaci, parenti ed estimatori a rilevare dai tratti dell'amato volto un calco in gesso che doveva servire per la maschera mortuaria. Questo, senza dimenticare le maschere lombrosiane realizzate a scopi dichiaratamente “scientifici” sui volti di veri o presunti delinquenti e “devianti” di vario genere.
Mortuaria, quindi? Solo in parte, per quanto concerne la parte del calco. Per quanto concerne invece gli oggetti siamo più su un terreno tra l'onirico e l'esistenziale, con non pochi scarti ironici. Risponderei in questo modo al quesito che Giovanni Tesio poneva in cima ad un suo testo che, in passato, parlava già del lavoro di Alessia Clema: maschere funebri o maschere oniriche?
Il quesito non né da poco ed è legittimamente suscitato dall'aver scelto questi oggetti carichi di una simbologia imponente, plurisecolare e planetaria: Oriente e Occidente, Africa, America del Nord e del Sud, Grecità e Roma.
In un altro testo dedicato alle maschere di Alessia, Manuela Rinaldi ha parlato di sculture in movimento, rimandando al Jean Laude di Les Arts de l'Afrique Noire, ma io mi limiterei a parlare di Grecia, accennando alla maschera teatrale che raffigura un personaggio, il pròsopon, da cui deriva la persona - una maschera- che nel teatro latino aveva la funzione di iper sonare cioè di amplificare la voce dell'attore affinché essa raggiungesse il pubblico. Funzione ribadita dalle opere della Clema le cui personae servono a farci riflettere, a sviluppare un'intuizione, a capire vita e destino dei protagonisti che hanno accettato di farsi ritrarre portando all'artista non degli objet trouvés, oggetti d'uso comune che trovano il loro riscatto per il fatto stesso di essere inseriti in un contesto artistico, ma degli oggetti testimoniali essenziali: quelli che debbono contribuire in modo decisivo a farci intuire vita e destino, personalità e preferenze, ragioni dell'intelletto ed esigenze del cuore. Ragione e sentimento.
Tornando al quesito posto da Tesio, le maschere di Clema mi sembra abbiano un'evidenza, un colore, un aspetto, una fisicità, una consistenza e una trasparenza che mi sembra rimandarle per ragioni tecniche ed estetiche alla maschera mortuaria.
Peraltro, è anche vero che è un mondo intriso di modernità quello che Alessia ci presenta, ma pur sempre involucrato in un manufatto vagamente spettrale che mi sembra richiamare un'iconografia nordica che va dalla Donna del Lago (più Walter Scott che Rossini, almeno quella in versione Abbado) all' Ophelia di Amleto, nella versione pre-raffaellita di John Everett Millais, dalla Regina delle nevi di Andersen fino a Il senso di Smilla per la neve. Letterariamente, ancora, colgo atmosfere (non so perché e chiedo venia) persino da romanzo gotico o, almeno, da racconto di Poe. Sarà che in questi mondi prosperano le immagini di fissità, di incastonamento, di inclusione. Anche se nelle maschere di Alessia non vi sono botti di amontillado a fare da esca verso un'eternità murata.
E' presente, nel mondo di Alessia, in modo dichiarato un aspetto algido, un biancore, che deve situarsi abbastanza in cima alle sue preferenze se una foto sua in ambiente invernale campeggia in cima al proprio sito internet e anche, tra le maschere, certi suoi volti affiorano come da superfici gelate, da candide schiume, rendendo più forte il richiamo evocativo cui facevo cenno.
Capacità evocativa, rimandi, allusioni che rendono ancora più vivo e pregnante il percorso dalla persona alla persona, e ritorno, dall'antico al moderno, e viceversa, in un gioco colto ed emozionante che testimonia della forza e della capacità di questa artista.
Roberto Baravalle
Antonio Ferrero
Tesi di Laurea di Secondo Livello
Laurea Specialistica - Corso di Pittura
Anno Accademico 2016 – 2017
IDENTITÁ CUSTODITE
Il primo impatto che suscita la visione delle opere di Alessia Clema è fortemente straniante.
Da un lato, emerge un forte citazionismo pirandelliano, per cui la maschera, il soggetto ricorrente delle sculture, si offre quasi pavlovianamente al rimando letterario del premio Nobel siciliano. D’altra parte, non sfugge nemmeno il riferimento funerario mirabilmente evidenziato tanto da Roberto Baravalle quanto da Giovanni Tesio.
Tuttavia la fissità spettrale della resina che imita un volto ma si fa contenitore di allusioni, suscita sentimenti inediti, una malinconia ironica, sofferente ma al tempo stesso stemperata dalla partecipazione emotiva dell’artista. I calchi dei visi delle persone amate ornati di elementi talvolta violentemente contrastanti, sono uno sberleffo sarcastico al tentativo di imbrigliare l’ispirazione di Alessia Clema nella banalizzante attualizzazione postmoderna delle maschere mortuarie. Nell’artista cuneese c’è di più: c’è la consapevolezza della paradossalità stessa dell’opera d’arte. Il prodotto artistico immortala ciò che è caduco per natura, scavalcando in importanza ontologica il creatore stesso. Questo determina quella vertigine, angosciosa eppure fertile, che aveva accompagnato, per esempio, parte della produzione di Nam June Paik, quando fissava il disagio di una società che faticava a lasciarsi alle spalle un retaggio medievale per approdare a un presente distopico e ipertecnologico nei suoi Budda, involucri contenenti arcaiche candele ma fissanti schermi futuribili.
Similmente, Clema nasconde nell’immobilità ieratica della resina occhiali, orologi, cavi elettrici e altri oggetti contemporanei e con evidenti richiami affettivi. E il paradosso si rinnova, perché, nel tempo, a invecchiare saranno proprio questi elementi così attuali, transeunti, moderni il tempo di un battito di ciglia, mentre l’eternità atemporale sarà consegnata ai lineamenti fissati nella resina.
In questa ottica trovo personalmente di enorme suggestione i quadri dell’artista, nei quali l’uso della resina conserva il suo nitore materico ma assume una dimensione quasi metafisica nella riproposizione bidimensionale. La capacità di Alessia Clema di evocare suggestioni oniriche, inquietanti, familiari e conturbanti al tempo stesso è manifestazione di una enorme sensibilità estetica che si imprime sulla tela con la gentile sicurezza di chi suggerisce senza imporre, richiama senza asserire. Nelle sue tele c’è il senso più alto del concetto di allegoria, questo condurre altrove verso una dimensione evocativa struggente e surreale al contempo. Nella straordinaria produzione di Alessia Clema si concreta il lapidario aforisma di Cioran: “è maschera tutto ciò che non è la morte”.
Antonio Ferrero